sabato 29 dicembre 2012

Crowdfunding: il futuro dell'Arte?



L’arte costa. Ne costa la produzione, ne costa la diffusione.
Chiunque può fare arte per sé, ma a partire dal momento in cui decide di dare consistenza alla sua opera affidandola ad un qualsiasi mezzo di diffusione (pubblicazione, esposizione), il denaro diviene indispensabile.
Anche ciò che potrebbe apparire gratuito agli occhi dell’autore, è in realtà una scommessa di terzi sul suo successo. Scommessa finanziaria, naturalmente.
E, si sa, le scommesse finanziarie sfociano spesso in una ricerca più volta alle logiche di mercato che non all’arte in senso stretto.

Il crowdfunding (parola inglese composta che significa “finanziamento della folla”) si inserisce in tale meccanismo superandone gli schemi:
attraverso un mezzo mediatico, in genere il web, si presenta un progetto richiedendo una cifra per realizzarlo.
Saranno poi gli utenti, la “folla”, appunto, a decidere se finanziarlo e quale cifra devolvere.
Per rendere la cosa più interessante agli occhi dei potenziali finanziatori, spetterà all’autore darvi appetibilità con offerte, regali e quant’altro.

Alla fine di un periodo predeterminato, i progetti che avranno raggiunto la cifra richiesta saranno finanziati. Gli altri, vengono invece cestinati e i fondi restituiti a ciascun finanziatore.
Evidentemente, anche questo meccanismo presenta il rischio di essere troppo legato ai gusti della folla, ma, come si suol dire, meglio essere legati ai gusti della gente che soltanto ai portafogli del produttore di turno e al suo tornaconto economico.

Così, le nuove forme artistiche di questo avvio di Millennio hanno uno strumento in più per emergere: un mecenatismo globale che nessuna generazione di artisti aveva mai avuto modo di poter sperimentare prima d’ora.

Il web pullula ormai di siti specializzati nel crowdfunding, alcuni più generici (come il pioniere Kickstarter), altri specifici per una determinata forma artistica (come Musicraiser).
E gli artisti mondiali trovano nuova linfa per i loro progetti…





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giovedì 5 aprile 2012

Interviste d'arte: GIULIO SERAFINI, illustratore e animatore

Oggi il blog "Viale Assurdo" intervisterà l'illustratore, fumettista ed animatore Giulio Serafini.
Nato e cresciuto in Friuli, a Casarsa della Delizia, si è spostato dalla sua terra subito dopo il diploma, approdando dapprima a Firenze ed ora a New York.

1) Da quanto tempo sei giunto a New York?
Se non erro sono arrivato qui il 7 aprile 2010, quindi fanno 2 anni tondi tra qualche giorno. In realtà non considero molto il mio periodo di incubazione tra aprile e settembre …

2) In che modo senti che gli USA ti stanno facendo crescere professionalmente (se ciò sta accadendo)?
Più che gli States in generale, New York…c’è una bella differenza. Diciamo che questa città mi sta dando modo di passare dalla mia "pubertà creativa" ad una definita maturazione professionale.
Il tutto molto più velocemente del normale.
Perché?
Perché New York ha un'energia prepotente, è una città in cui o stai dietro alla mole lavorativa, oppure te ne torni a casa. Per molti non è facile da affrontare.
È la legge dell' “if you can make it here, you can make it anywhere”, come dicono qui.

3) Parla di qualche tuo progetto che reputi significativo. 
A parte i miei lavori "standard", mi dedico anche ad alcuni progetti personali. Sto cercando di portare avanti un romanzo a fumetti chiamato “The Messengers”. Il mio scopo principale è di cercare di non produrre una storia banale… ma non è per niente facile!

4) Cosa porteresti dell'Italia a New York e di New York all'Italia?
In un'intervista precedente dissi “il bidet”. Ora probabilmente direi lo Spritz.
Dall’America? La gnocca multietnica?

5)  Senti di avere una marcia in più negli USA essendo italiano? E se sì, qual è?
Essendo italiano… l’arte dell’arrangiarsi, senza dubbio.
È una qualita che qui a loro (agli americani, n.d.r.) manca, per quanto ho avuto modo di constatare.

6) Prima Firenze, poi New York… ci sono altre mete in programma per il futuro?
Tra un po' di tempo mi piacerebbe spostarmi in California, magari in una città affascinante ed europea come San Francisco. Più in là pensavo al Brasile…ma non mi piacciono i programmi a lunga scadenza...

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