domenica 29 maggio 2016

Il Castello di Sammezzano, gioiello in declino

Essere il Paese con il maggior patrimonio artistico a livello mondiale richiede coscienza, prima, e responsabilità, poi.
Non può esistere responsabilità senza coscienza, e purtroppo accade spesso che, nell'immensità di ciò che ci circonda, manchino entrambe le cose. Il nostro patrimonio è intriso di criticità, in lungo e in largo attraverso la penisola. Beni abbandonati a loro stessi, lasciati in balia del tempo e di chissà quante altre cose. E così gli Scavi di Pompei, così la Reggia di Caserta, così la Zisa di Palermo, così il Castello di Miramare a Trieste, e potremmo andare avanti per ore. Un gigantesco patrimonio, invidiato da tutto il mondo, spedito all'indirizzo dell'oblio colpevole da parte di chi di dovere.
Su alcuni dei casi eclatanti citati sopra, qualcosa si è mosso e si sta muovendo, fortunatamente.
Ma, come detto, la lista è lunga. E oggi, da questa lista, attingeremo parlando del Castello di Sammezzano. Un meraviglioso esempio ottocentesco di architettura moresca, sito nel cuore della Toscana, in comune di Reggello, ad una trentina di chilometri da Firenze.
Un luogo sfortunatamente ancora poco conosciuto, ma che può sfoggiare una rara bellezza, un trionfo cromatico negli interni che lascia a bocca aperta. Il tutto immerso nel parco con il maggior numero di sequoie in Europa. Un gioiello, una chicca, una vera ode al colore e all'eclettismo.
Anche il Castello di Sammezzano, inutile dirlo, rientra tra quelle molteplici opere d'arte che l'abbandono rischia di condurre verso un inaccettabile declino.
La coscienza è condizione necessaria alla responsabilità, dicevamo. Ecco perché è necessario prendere coscienza di questo gioiello, e recuperare il senso di responsabilità verso i tesori che la nostra patria custodisce, e che tendono a sfuggirci non oltre uno sguardo "abitudinario".
Ci vorrebbero diverse decine di milioni di euro per salvare il Castello di Sammezzano. Si parla di venti milioni solo per acquistarlo, ammesso ve ne sia la possibilità (l'ultima asta è stata, ed è notizia di soli pochi giorni fa, sospesa). Tanti, pochi, dipende dai punti di vista. Tanti sicuramente per la stragrande maggioranza della popolazione considerata come singoli, ma decisamente non tanti, se si pensa in termini di somma di individui. Basterebbe che il 3 per cento della popolazione italiana rinunciasse ai soldi di una pizza e di una bibita (10 euro) e l'obiettivo verrebbe praticamente raggiunto. Se pensiamo che siamo oltre 60milioni, basterebbe rinunciare ad un caffè, e ci sarebbero i soldi per tre Castelli di Sammezzano. 

L'Italia ha delle responsabilità verso se stessa e verso il mondo. Non dimentichiamolo. Salviamo il Castello di Sammezzano e tutti gli altri tesori sparsi per il Paese. 

Per qualsiasi ulteriore informazioneSito Save Sammezzano

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venerdì 6 maggio 2016

Quarant'anni fa il terremoto del Friuli

Erano le 21,00 del 6 maggio 1976 quando la terra in Friuli tremò, portando morte e distruzione. Fu una delle più gravi calamità del XX secolo in Italia.

Per omaggiare le vittime, e anche un popolo coraggioso che più di ogni altro ha saputo reagire alla tragedia, seguiamo le orme di uno dei più grandi registi italiani, Pupi Avati.

Durante la scossa di quel 6 maggio, il regista era intento nelle riprese del film "La casa dalle finestre che ridono". Nonostante vi fossero circa 250 km a separare l'epicentro dal luogo delle riprese (alta pianura emiliana) il movimento della macchina da presa fu ottimamente percepibile.

Il regista, successivamente, decise di non tagliare del tutto la scena in fase di montaggio, ma lasciò alcuni istanti in cui è evidente il tremore.

Così, Pupi Avati ha testimoniato ed eternizzato in un famoso capitolo del nostro cinema l'avvio di quegli attimi terribili, per il Friuli e per l'Italia intera.

Quasi mille persone perirono, gran parte dell'alto e del medio Friuli furono devastate. La pedemontana friulana, in particolare, pagò il prezzo di vite più alto.

Eppure, da quella immane tragedia, il Friuli ha saputo rinascere, rimanendo purtroppo un esempio unico nella storia d'Italia. In soli dieci anni la ricostruzione poté dirsi completata.



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