venerdì 24 febbraio 2017

ARUSPICE NELLE VISCERE di Henry Ariemma

"Aruspice nelle Viscere" di Henry Ariemma (edito da Giuliano Ladolfi Editore) è uno di quei libri che si leggono volentieri, ma che, come tutti i libri di poesia, ti riempiono un vuoto restituendotene immediatamente un altro.

Ciò che è introspezione dell'autore si solleva oltre, sfidando le domande esistenziali più pure. Una tendenza al divino, forse, e in questo è "aruspice", cacciatore di realtà, di profondità, di essenza, tesa verso il futuro.

Trovo che la prefazione al libro, scritta da Giulio Greco, non richieda particolari integrazioni.

Come chi mi segue assiduamente saprà, io non sono un critico, e non mi addentrerò pertanto in ciò che altri già hanno fatto prima di me, e forse meglio di quanto potrei mai fare io.

Ma c'è un percorso, questo sì, che vorrei indagare. Questa silloge di Ariemma ha alcuni aspetti che, a mio avviso, guidano il lettore entro un filo logico, non so se voluto o meno, ma che traspare con forza:
alberi, rami, fiori, radici, corteccia. Questi concetti si reiterano in quasi tutti i componimenti, e non possono restare nell'indifferenza di una mera casualità.  

Che ruolo può avere "l'albero", con le sue varie appendici, in un'opera di questo tipo? Rileggendo alcune volte, fatico davvero a considerarlo un elemento del tutto casuale.

L'albero è ciò che più di ogni altra cosa unisce terra e cielo, saldo alle radici, ma che svetta alla chioma. L'albero è certezza di un tempo e di un luogo. Un elemento tendenzialmente rassicurante, nel suo ciclico fiorire e spogliarsi. Romanticamente, il legame tra il terreno e il divino. Un po' come gli aruspici, nella tradizione antica: un tramite.

Perché dico questo, e perché a mio avviso tutto ciò non può essere casuale?
Perché è qui il fulcro di tutto, se contestualizziamo l'opera all'oggi: che cosa ci manca? Cos'è che la nostra epoca non trova?
Non trova questa rassicurante certezza. Se le domande sono rimaste le stesse, le risposte si perdono. E come un aruspice, è ruolo del poeta restituire risposte che già il tempo ci ha consegnato, e che in un'epoca di falsi miti fatichiamo a decifrare.

Ruolo del poeta, certo, ma anche ruolo di ognuno di noi. Affinché questa fase sia solo una fase ciclica, e si possa, presto, tornare umanamente a fiorire.

La speranza è un ricominciare,/nutre di lamento il sogno di una notte/per nuovo giorno fatto di polvere/al volere del cuore./E il cammino con lo specchio/luminoso, mira lontana per il cieco/cucire cielo a suolo della terra/è domani a pretendere col fare/magie il messaggio che dice sì. ("Come la fede" - Aruspice nelle Viscere)


Chiudono l'opera alcuni haiku e alcuni aforismi. 


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