martedì 5 luglio 2016

La francese italianità di Yves Bonnefoy (1923-2016)

Si è spento alcuni giorni fa, all'età di 93 anni, Yves Bonnefoy, il più grande poeta francese contemporaneo.

Appena appresa la notizia dalle agenzie avrei voluto affrettare un articolo per trovarmi anch'io "sul pezzo". Ma non faccio giornalismo e non faccio neanche critica, per cui lo "stare sul pezzo" era l'ultimo dei miei problemi. Credo peraltro, e non è una frase fatta, che un grande artista come lui si sia già costruito meritatamente l'immortalità.

Filosofo di formazione, poeta nella vita, appassionato conoscitore dell'arte. Anche meta-poeta, per molti aspetti non trascurabili. Una breve, giovanile parentesi surrealista, per poi virare verso l'esistenzialismo, per chi cerca un'etichetta nelle arti. E anche traduttore, di Keats, di Shakespeare, anzitutto, ma si cimentò anche con Petrarca, seppur in modo non sistematico.

Più volte candidato al Nobel per la letteratura, è stato anche un attento critico d'arte, letteralmente fulminato dall'arte rinascimentale italiana sin dalla giovane età.

Non è questa la sede per parlare della sua opera immensa, né chi scrive ne ha le competenze. L'unica cosa che preme sottolineare, ricorrente nella sua vita come nella sua opera, è questo continuo riferimento alla morte che pare contrastare con la potenza vitale dell'arte. Se dovessi definire Bonnefoy per quel che ne ho letto, direi semplicemente questo: un uomo che appare sospeso tra la lirica della morte e l'eternità della bellezza.

E poi, un poeta francese con una non trascurabile italianità nelle vene. Un amore sincero per tutti quei luoghi da lui conosciuti, da Firenze a Roma, da Venezia a Genova, passando per Urbino e per Ravenna. E, soprattutto, per la grande arte espressa nella loro maestosità, ma anche nel loro valore simbolico.

E anche quei riferimenti a Dante, a Leopardi, a Petrarca, a Leon Battista Alberti, al Palladio, a Piero della Francesca, solo per citarne alcuni. L'Italia assume un posto di rilievo nella vita e nell'opera di questo grande poeta.  E l'Italia ha contraccambiato questo amore, visto che Yves Bonnefoy era il più conosciuto tra i poeti francesi contemporanei. Qui in Friuli Venezia Giulia venne riconosciuto recentemente anche con l'assegnazione del Premio Nonino.

"Se voulait-il un torche/qu'il eût jetée dans la mer?/Il alla loin dans les flaques/d'entre là-bas et le ciel,/puis il se retourna vers nous,/mais le vent l'avait désécrit/bien que sa main fût crispée/ sur le mondes de la fumée (...)". Così si apre la sua lirica "Un poète". Non la riporto integralmente, ma è una delle mie preferite. E mi capitò di interrogarmi, forse in modo insensato, senza pretendere una risposta esaustiva, sui legami tra questa lirica e "Facesti come quei che va di notte...", titolo originale in italiano (tanto per sottolineare ulteriormente quel po' di italianità d'adozione - espressa in una citazione del Sommo Dante), in cui un'altra torcia appare al primo verso.
L'unica cosa certa è che le torce dei grandi poeti non si spengono, neanche quando questa vita volge al termine.


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credito immagine: Joumana Addad, 2004 (CC)


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