martedì 23 settembre 2014

La triade editoriale: Correttore di bozze - Editor - Ghostwriter

Si sa, in tempo di crisi ogni potenziale sbocco lavorativo diviene interessante. Ma prima di lanciarsi in un mondo come quello editoriale bisogna chiarificarsi un minimo le idee.
In campo letterario esistono tre professioni che generano interesse crescente, ma di cui si sa poco (e spesso ci si confonde tra una e l'altra): il correttore di bozze, l'editor ed il ghostwriter.
Quando parlo di "professioni abbastanza richieste" è, comunque, il caso di sottolineare "a livello potenziale".
Iniziamo con la prima: il correttore di bozze.
Questo professionista si occupa prevalentemente di eliminare i refusi ortografici e di seguire delle linee stilistiche basilari imposte dalle case editrici. Generalmente, infatti, questo soggetto si propone alle case editrici, talvolta come dipendente, talvolta come collaboratore esterno. In ogni caso raramente si rivolge direttamente agli autori. Per "linee stilistiche basilari" si intendono quei rilievi diversi dall'errore ortografico, ma che la casa editrice può intendere modificare per svariati motivi (esempio: l'uso/abuso della "d" eufonica, le virgolette caporali per quelle alte, i neologismi o gli arcaismi, etc.).
Passiamo all'editor.
Questo professionista, che integra il correttore di bozze (talora, è il caso di dirlo, le due figure coincidono) ha una funzione più "pesante", sotto il profilo della scrittura, rispetto al precedente. Capita infatti spesso che debba riscrivere totalmente delle sezioni, dei paragrafi, solo per "amalgamare meglio" il testo, o per renderlo stilisticamente migliore o più in linea con una certa politica editoriale. Lavora per le case editrici ma può rivolgersi anche direttamente agli autori.
Infine, il ghostwriter.
Intorno a questa figura ruota una certa aura di mistero. Il ghostwriter è un vero e proprio "scrittore su commissione". Una "penna per idee altrui". Talora la differenza tra editor e ghostwriter può risultare labile, poiché spesso ciò che varia è la quantità più che la qualità. Il ghostwriter dovrebbe partire da un'idea, da uno scheletro, da una bozza altrui, per svilupparla praticamente da zero. Questa figura si rivolge direttamente ai (potenziali) autori.
Ciò premesso, quali sono i requisiti per avviarsi a queste professioni?
I tre dovrebbero avere in comune (necessariamente) una forte passione per la lettura ed una innata predilezione (e talento) per la scrittura. Ai primi due, in genere, è richiesta una laurea in materie letterarie. Vero è che al correttore di bozze puro basterebbe anche la sola passione per la lettura, visto che la sua mansione è abbastanza meccanica, ma è anche vero, come già sottolineato, che spesso il correttore di bozze è anche editor e viceversa.

Il ghostwriter deve anche avere una continua capacità di vendersi e stare sul mercato, pur restando sostanzialmente nell'ombra. Un compito alquanto arduo.

credito immagine: pixabay.com

domenica 21 settembre 2014

SPECIALE PORDENONELEGGE 2014 - Tradurre Mandel'stam: incontro con Lauretano e Ruffilli

La poesia dal punto di vista del traduttore: qualcosa di cui raramente si sente parlare, ma che apre più orizzonti di quanti si possano immaginare.
L'incontro alla Libreria della Poesia di Pordenone ha fornito alcuni interessanti spunti in tal senso: la presenza di due personaggi che hanno tradotto il poeta russo Osip Mandel'stam, cioè Gianfranco Lauretano e Paolo Ruffilli, ha aperto due diverse visioni.
Ma partiamo dal principio: ha senso tradurre la poesia? A questa domanda, chi scrive risponderebbe semplicemente "no". La poesia in quanto tale esula dal mero significato, come ben si sa, e non è possibile tradurre fedelmente le parole dell'autore in una lingua diversa da quella da lui utilizzata.
Ciò premesso, leggere in lingua originale tutte le poesie di tutti i poeti richiederebbe non solo la conoscenza di ciascuna lingua, ma anche la sua padronanza.
Ecco che dunque si arriva al compromesso della traduzione.
Tra aspetti biografici della travagliata vita del poeta russo, ci si è appunto sforzati di fornire una soluzione al problema di fondo.

Da un lato, l'approccio di Gianfranco Lauretano, decisamente più fedele e più corretto: tradurre la poesia significa guardare a ciò che c'è dietro e dentro, e dunque necessariamente fare i conti con l'autore, la sua vita, le sue idee. Contestualizzare, appunto. Contestualizzarlo rispetto a sé, ma anche rispetto a ciò che lo circonda: alla cultura russa del primo Novecento, in questo caso.

D'altro canto, l'approccio di Paolo Ruffilli. Un approccio decisamente presuntuoso: voler "ripetere" la musicalità della lingua russa nella traduzione italiana. Cercare di riprodurne fedelmente il ritmo. Un'idea che tentenna alle orecchie e alla mente, decisamente snaturante e priva di fondamento. Anche solo pensare di poter riproporre "il ritmo musicale" di una lingua in un'altra lingua, appare più come patetico abominio che come reale cimentarsi in qualcosa di utile all'universalità dei lettori.
Bisogna dirlo, è proprio una caduta nell'autoreferenziale, e forse persino nel narcisismo, che svuota il testo del vero autore per farne altro.
E poco importa se il risultato possa "suonare" in italiano. Qui si parla di tradurre un autore, non di trasporci sopra se stessi, in nome dell'impossibile convergenza "musicale" tra russo ed italiano. La trasposizione del sé è un'operazione riservata ai lettori, eventualmente, e a quelli più accorti in particolare. Non serve anticipare i tempi.

Si è poi entrati nel merito del grande dibattito tra acmeismo e simbolismo, seppur per sommi capi, come evidentemente richiesto dai tempi (ci sarebbero voluti altrimenti, come minimo, due interi incontri solo su ciascuno di essi).

Poi, lo "stupore-non stupore", che potrebbe stupire ancora di più: "vi è una conoscenza di Dante molto approfondita, come di Petrarca, nell'autore... che peraltro lo sapeva recitare in italiano..."
Questa affermazione sembrava stupisse chi parlava. Ma non è altro che la riprova, in seno ad un popolo il cui apprezzamento per la poesia è molto profondo, che la poesia vada recitata in lingua originale per essere chiara. Almeno "a fronte". Non per nulla uno dei momenti migliori dell'incontro è stato proprio nel raffronto tra italiano e russo che Gianfranco Lauretano ha posto in essere. Un'unica poesia, purtroppo, letta nel marasma del resto. Ma il vero momento arricchente dell'incontro.

Infine, la nota sulla pietra. Partendo, naturalmente, dalla raccolta "La Pietra", nelle sue varie edizioni (la prima delle quali del 1913), una digressione interessante sul sostanziale procedere contermine, agli occhi di Mandel'stam, di architettura e poesia (con un riferimento ad un aneddoto sul poeta al cospetto di Notre Dame).
Il poeta che "prima è pietra, dopo è legno".
Qui, invece, una certa banalità sul rapporto tra pietra e legno, un velato riferimento ad una poesia (che sarebbe stato forse il caso di recitare durante l'incontro) che, anche per non far torto a nessuno, riporto tradotta da Remo Faccani, per come la conoscevo io:

Una fiamma disperde
la mia arida vita,
e accantono la pietra:
ora il legno mi ispira.

E' rozzo ed è leggero:
da un tronco escono fuori
e midollo di quercia
e remi di pescatore.

Sotto, a configgere pali!
Svelate a colpi, o mazze, 
un ligneo paradiso
di oggetti imponderabili.

La versione si trova nella raccolta "Ottanta Poesie" di Osip Mandel'stam, edita da Einaudi nel 2009.

credito immagine: Dmitry Bulgakov, monumento a Mandel'stam in Voronez - CC




sabato 20 settembre 2014

SPECIALE PORDENONELEGGE 2014 - Il regista Krzysztof Zanussi al Convento di San Francesco

Il rapporto tra cinema e teatro e tra cinema e letteratura. Così può riassumersi l'incontro che ha visto protagonisti il regista polacco Krzysztof  Zanussi e lo scrittore e sceneggiatore Rocco Familiari.
Il regista Leone d'Oro 1984 con L'anno del sole quieto ha dialogato con Rocco Familiari delle differenze sostanziali tra il linguaggio cinematografico e quello letterario, ma al contempo della necessità del linguaggio letterario per la creazione di quello cinematografico.
Tra i due personaggi esiste ormai un lungo sodalizio, che è emerso in vari aneddoti svelati nel corso dell'incontro.
Non è mancato un riferimento al teatro, visto che Rocco Familiari nasce come drammaturgo. In questo senso, vi è stato spazio anche per indicare una breve analisi tra il linguaggio sincronico teatrale e quello diacronico cinematografico.
Il cinema, che racconta un momento passato, cristallizzato, e che viene composto dal regista a suon di brevi passi, ad una visione contestuale decisamente confusi, e il teatro, così immerso nell'hic et nunc, in un dialogo impossibile.
E poi c'è, ovviamente, la letteratura. "Il nodo di Tyrone", ultimo libro di Familiari, edito da Marsilio, ha fatto da sfondo al dibattito. Di esso si sono letti alcuni passaggi significativi nel corso dell'incontro.

Zanussi e Familiari hanno avuto modo di confrontarsi con il ruolo della letteratura non solo rispetto al cinema, ma anche rispetto alla loro stessa personale esperienza di lettori.

credito immagine: Wikipedia

SPECIALE PORDENONELEGGE 2014 - La filosofia di nuovo al centro nel dibattito con Massimo Cacciari

Labirinto filosofico di cui il centro è l'inizio e il punto di arrivo. Così, circa un'ora e mezza di lectio magistralis del filosofo professor Cacciari, al Teatro Verdi di Pordenone, che qui presenta il suo ultimo libro, "Labirinto filosofico", edito da Adelphi.
Un viaggio che ha toccato diverse tematiche, dalla metafisica all'ermeneutica, intrecciando Hegel con Kant, Platone, Aristotele, Socrate, Nietzsche.
L'hegelismo e il kantismo, prima di tutto. L'idea stessa di ricerca filosofica, di rapporto tra scienza e filosofia, del loro dialogare, dei loro contrasti. E poi, l'impulso alla categorizzazione, l'interrogativo, il non interrogativo, la conoscenza dell'indicibile, i limiti del linguaggio e dei suoi abissi di ambiguità e di vaghezza. Il mezzo che è prigione e la prigione che è mezzo.
Un lungo peregrinare attraverso varie tappe della filosofia occidentale, partendo da un discorso puramente ontologico, sull'Essere e sull'Ente, sui loro rapporti ma soprattutto sull'identità dell'Ente e sui limiti del logos nel coglierlo, nel determinarlo.
Non manca neppure lo spazio per una piccola polemica contro l'approccio "storico" della filosofia, soprattutto nelle scuole, che Cacciari definisce una "marcetta filosofica". La scuola, sottolinea lui, dovrebbe partire dai testi dei filosofi e solo da lì ricostruire il pensiero di ciascuno.

Ha moderato il giornalista Armando Torno, del Corriere della Sera.

credito immagine: foto di Roberto Vicario - CC BY SA

martedì 2 settembre 2014

La rinascita italiana è impossibile senza valorizzazione del patrimonio culturale

Arte e cultura, un binomio inscindibile e troppo spesso sottovalutato dalla politica di questo Paese.
Italia nella morsa della crisi, Italia nella morsa della disoccupazione, Italia nella morsa di qualcosa di negativo, continuamente.
Verrebbe da chiedersi perché si tergiversi sempre sull'importanza degli aspetti artistico-culturali in quella che è, a livello mondiale, la Nazione che vanta il più grande patrimonio in tal senso.

Continuiamo a discutere su elemosine da 80 euro o interventi per nulla risolutivi, quando la nostra miniera d'oro è semplicemente nell'inestimabile lascito dei nostri avi.

La partita dell'economia mondiale non ha un unico campo da gioco, ogni Nazione dovrebbe sentirsi libera di scegliere lo "sport" in cui farsi valere.
Ora, restando su paragoni sportivi, se sapeste di essere imbattibili nella corsa e vi proponessero di gareggiare contro gli altri atleti in uno sport a scelta (tra cui anche la corsa), voi quale scegliereste?
La risposta è scontata.

L'Italia ha un patrimonio artistico che non ha eguali. Su questo campo possiamo dire di essere imbattibili.
Allora non rimane che gareggiare su questo campo, investire sempre maggiori risorse in questa direzione.
Potremmo essere il più grande museo del pianeta.
E tutto questo partendo da migliori collegamenti, migliore organizzazione delle risorse, sinergia, lotta senza quartiere e con pene esemplari a chi deturpa il nostro territorio (o commette scorrettezze e crimini nei confronti dei turisti - si vedano le frequentissime truffe).

L'indotto generato, a parte i posti di lavoro direttamente creati nel settore dei beni culturali, investirebbe immediatamente il settore commerciale (ricettività, ristorazione, ma non solo), artigianato e agricoltura.
La disoccupazione diverrebbe un lontano ricordo, e tutto il Paese potrebbe rifiorire.
I turisti porterebbero fiumi di denaro nelle nostre tasche e lo Stato potrebbe contare, di conseguenza, su un maggior gettito tributario, con miglioramento ulteriore dei servizi.

Il mondo ha voglia di Italia, ma l'Italia non risponde.

Si può sapere che cosa stiamo aspettando?

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