domenica 21 settembre 2014

SPECIALE PORDENONELEGGE 2014 - Tradurre Mandel'stam: incontro con Lauretano e Ruffilli

La poesia dal punto di vista del traduttore: qualcosa di cui raramente si sente parlare, ma che apre più orizzonti di quanti si possano immaginare.
L'incontro alla Libreria della Poesia di Pordenone ha fornito alcuni interessanti spunti in tal senso: la presenza di due personaggi che hanno tradotto il poeta russo Osip Mandel'stam, cioè Gianfranco Lauretano e Paolo Ruffilli, ha aperto due diverse visioni.
Ma partiamo dal principio: ha senso tradurre la poesia? A questa domanda, chi scrive risponderebbe semplicemente "no". La poesia in quanto tale esula dal mero significato, come ben si sa, e non è possibile tradurre fedelmente le parole dell'autore in una lingua diversa da quella da lui utilizzata.
Ciò premesso, leggere in lingua originale tutte le poesie di tutti i poeti richiederebbe non solo la conoscenza di ciascuna lingua, ma anche la sua padronanza.
Ecco che dunque si arriva al compromesso della traduzione.
Tra aspetti biografici della travagliata vita del poeta russo, ci si è appunto sforzati di fornire una soluzione al problema di fondo.

Da un lato, l'approccio di Gianfranco Lauretano, decisamente più fedele e più corretto: tradurre la poesia significa guardare a ciò che c'è dietro e dentro, e dunque necessariamente fare i conti con l'autore, la sua vita, le sue idee. Contestualizzare, appunto. Contestualizzarlo rispetto a sé, ma anche rispetto a ciò che lo circonda: alla cultura russa del primo Novecento, in questo caso.

D'altro canto, l'approccio di Paolo Ruffilli. Un approccio decisamente presuntuoso: voler "ripetere" la musicalità della lingua russa nella traduzione italiana. Cercare di riprodurne fedelmente il ritmo. Un'idea che tentenna alle orecchie e alla mente, decisamente snaturante e priva di fondamento. Anche solo pensare di poter riproporre "il ritmo musicale" di una lingua in un'altra lingua, appare più come patetico abominio che come reale cimentarsi in qualcosa di utile all'universalità dei lettori.
Bisogna dirlo, è proprio una caduta nell'autoreferenziale, e forse persino nel narcisismo, che svuota il testo del vero autore per farne altro.
E poco importa se il risultato possa "suonare" in italiano. Qui si parla di tradurre un autore, non di trasporci sopra se stessi, in nome dell'impossibile convergenza "musicale" tra russo ed italiano. La trasposizione del sé è un'operazione riservata ai lettori, eventualmente, e a quelli più accorti in particolare. Non serve anticipare i tempi.

Si è poi entrati nel merito del grande dibattito tra acmeismo e simbolismo, seppur per sommi capi, come evidentemente richiesto dai tempi (ci sarebbero voluti altrimenti, come minimo, due interi incontri solo su ciascuno di essi).

Poi, lo "stupore-non stupore", che potrebbe stupire ancora di più: "vi è una conoscenza di Dante molto approfondita, come di Petrarca, nell'autore... che peraltro lo sapeva recitare in italiano..."
Questa affermazione sembrava stupisse chi parlava. Ma non è altro che la riprova, in seno ad un popolo il cui apprezzamento per la poesia è molto profondo, che la poesia vada recitata in lingua originale per essere chiara. Almeno "a fronte". Non per nulla uno dei momenti migliori dell'incontro è stato proprio nel raffronto tra italiano e russo che Gianfranco Lauretano ha posto in essere. Un'unica poesia, purtroppo, letta nel marasma del resto. Ma il vero momento arricchente dell'incontro.

Infine, la nota sulla pietra. Partendo, naturalmente, dalla raccolta "La Pietra", nelle sue varie edizioni (la prima delle quali del 1913), una digressione interessante sul sostanziale procedere contermine, agli occhi di Mandel'stam, di architettura e poesia (con un riferimento ad un aneddoto sul poeta al cospetto di Notre Dame).
Il poeta che "prima è pietra, dopo è legno".
Qui, invece, una certa banalità sul rapporto tra pietra e legno, un velato riferimento ad una poesia (che sarebbe stato forse il caso di recitare durante l'incontro) che, anche per non far torto a nessuno, riporto tradotta da Remo Faccani, per come la conoscevo io:

Una fiamma disperde
la mia arida vita,
e accantono la pietra:
ora il legno mi ispira.

E' rozzo ed è leggero:
da un tronco escono fuori
e midollo di quercia
e remi di pescatore.

Sotto, a configgere pali!
Svelate a colpi, o mazze, 
un ligneo paradiso
di oggetti imponderabili.

La versione si trova nella raccolta "Ottanta Poesie" di Osip Mandel'stam, edita da Einaudi nel 2009.

credito immagine: Dmitry Bulgakov, monumento a Mandel'stam in Voronez - CC




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