Ci addentriamo nell'intima cornice dello Spazio MAVV di
Vittorio Veneto, un ambiente ricavato da una vecchia filanda. Il passato che
incontra il presente, un po' come quanto stavamo per ascoltare. Nulla è andato
perso.
Il concerto non inizia sotto i migliori auspici, problemi
tecnici alle tastiere del marchese Aiazzi costringono Maroccolo a fermare tutto,
dopo i primi dieci minuti scarsi di "Rinascere", e a ricominciare da
capo. Problema risolto e il concerto può finalmente avere inizio. Senza più
interruzioni, per due ore filate.
"Rinascere", appunto, funge da overture. Un
turbine di emozioni si scaglia sul pubblico. L'ottima prestazione vocale di
Chimenti fa il resto. Nel corso della serata c'è spazio per grandi atmosfere
musicali, grandi classici del passato, omaggi e un viaggio difficile da
dimenticare. C'è "Aria di Rivoluzione" di Franco Battiato. Ci sono
"Peste" e "Versante Est" dei Litfiba, per non dimenticare
un pezzo dal coinvolgimento quasi devastante (in accezione positiva,
naturalmente): "La Battaglia", direttamente dall'Eneide di Krypton.
C'è "Annarella", uno dei pezzi più belli e conosciuti dei CCCP.
C'è "Les Dernierès Sept Minutes de mon Pere", un
pezzo commovente, in cui Gianni ricorda suo padre in un giorno speciale come il
19 marzo. E c'è spazio per la voce del compianto Claudio Rocchi, una vera
colonna portante di questo tour, che Maroccolo non si stanca di ringraziare per
il grande lavoro che hanno fatto insieme.
C'è anche posto per un omaggio a Keith Emerson, da poco scomparso,
e a cui viene dedicata l'esecuzione di "Lucky Man", in una versione struggente e
corale con tanto di assolo al moog, ricostruito da Aiazzi con quella fedeltà e
rispetto per la versione originale che solo i grandi musicisti sono in grado di
eseguire.
E c'è "Maria Walewska", un piccolo capolavoro misconosciuto
dei Litfiba che chiude questo viaggio. Quelli che ho elencato qui, peraltro,
sono solo alcuni dei pezzi andati in scena. Non ho interesse a riportare
fedelmente la scaletta, né a riproporne l'ordine preciso. Anche perché non si
ripropone mai identica, nel corso del tour. L'unica cosa che mi preme davvero
segnalare è la forza emozionale che si è sprigionata dalle note di una serata
che non ho timore di definire perfetta. Perfetta persino nell'apparente
imperfezione dei disguidi tecnici di avvio concerto. Abbiamo avuto un
"quasi bis" fuori programma. Non credo ci si possa lamentare.
Una perfezione che è corale, ma il primo merito va a chi ha
voluto portare in scena questo viaggio e questo incontro: Gianni Maroccolo, un
bassista sopraffino che sa sfoderare un groove a tratti potente e devastante,
ma sa anche lasciare muto il suo basso quando la voce deve dire cose troppo
importanti per essere sopraffatta da altri suoni. Il suo basso,
"Attilio", come lo ha chiamato lui, fedele compagno di viaggio dal
1983, pare quasi pulsare di vita propria: sa diventare strumento lirico ed
espressivo e canta anche lui, sul palco, impreziosito da vibrati e da delay che
tolgono il fiato.
In alcuni passaggi è proprio il basso, da solo, a
contrappuntare la voce con un riff che non si può non definire delicato,
elegante ed espressivo. E le dita che gli danno vita sono quelle di Maroccolo.
Una garanzia.
Ma non c'è soltanto lui, dicevamo. C'è Andrea Chimenti, che
sfodera un'ottima prestazione vocale e accompagna alcuni pezzi alla chitarra.
C'è Antonio Aiazzi, di cui già si segnalava la sublime esecuzione in "Lucky Man",
ma che ha dato molto in tutto il concerto, sia alle tastiere che alla
fisarmonica (e proprio la fisarmonica è lo strumento clou in Maria Walewska).
C'è tanta elettronica, con un sintetizzatore modular, molti effetti e molto
delay (nell'apprezzare gli aspetti tecnici di tutto questo ringrazio in
particolare l'amico Valter Poles, che era tra il pubblico e che mi ha fornito delle
interpretazioni di quanto stava avvenendo sul palco che sfuggivano alle mie
competenze). Ma accanto all'elettronica, anche l'opposto, quando il suono
magico ed orientaleggiante di un sitar (tra le mani di Beppe Brotto) risveglia
nuovi sensi, fino a diventare "altro", mentre l'uso dell'archetto gli conferisce sonorità quasi da theremin, fino a trasformarsi nel verso dei
gabbiani di quel mare che Gianni tanto ama e a cui tanto deve nella sua
ispirazione e formazione. Non manca
neppure la batteria di Simone Filippi, che, specie ne "La Battaglia", fa tremare
cuori e pareti.
Non credo ci sia altro da aggiungere, se non ribadire che è
stato tutto semplicemente meraviglioso. Consiglio a tutti di prendere posto ai
prossimi concerti o, meglio, ai "prossimi viaggi", perché c'è tanta
di quella carne al fuoco che non saprei neanche come raccontarvela, a parole. Ci
ho provato, ecco tutto.
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