domenica 20 marzo 2016

Gianni Maroccolo e Vdb23 - La data di Vittorio Veneto

Ci addentriamo nell'intima cornice dello Spazio MAVV di Vittorio Veneto, un ambiente ricavato da una vecchia filanda. Il passato che incontra il presente, un po' come quanto stavamo per ascoltare. Nulla è andato perso.

Il concerto non inizia sotto i migliori auspici, problemi tecnici alle tastiere del marchese Aiazzi costringono Maroccolo a fermare tutto, dopo i primi dieci minuti scarsi di "Rinascere", e a ricominciare da capo. Problema risolto e il concerto può finalmente avere inizio. Senza più interruzioni, per due ore filate.

"Rinascere", appunto, funge da overture. Un turbine di emozioni si scaglia sul pubblico. L'ottima prestazione vocale di Chimenti fa il resto. Nel corso della serata c'è spazio per grandi atmosfere musicali, grandi classici del passato, omaggi e un viaggio difficile da dimenticare. C'è "Aria di Rivoluzione" di Franco Battiato. Ci sono "Peste" e "Versante Est" dei Litfiba, per non dimenticare un pezzo dal coinvolgimento quasi devastante (in accezione positiva, naturalmente): "La Battaglia", direttamente dall'Eneide di Krypton. C'è "Annarella", uno dei pezzi più belli e conosciuti dei CCCP.
C'è "Les Dernierès Sept Minutes de mon Pere", un pezzo commovente, in cui Gianni ricorda suo padre in un giorno speciale come il 19 marzo. E c'è spazio per la voce del compianto Claudio Rocchi, una vera colonna portante di questo tour, che Maroccolo non si stanca di ringraziare per il grande lavoro che hanno fatto insieme.
C'è anche posto per un omaggio a Keith Emerson, da poco scomparso, e a cui viene dedicata l'esecuzione di "Lucky Man", in una versione struggente e corale con tanto di assolo al moog, ricostruito da Aiazzi con quella fedeltà e rispetto per la versione originale che solo i grandi musicisti sono in grado di eseguire.
E c'è "Maria Walewska", un piccolo capolavoro misconosciuto dei Litfiba che chiude questo viaggio. Quelli che ho elencato qui, peraltro, sono solo alcuni dei pezzi andati in scena. Non ho interesse a riportare fedelmente la scaletta, né a riproporne l'ordine preciso. Anche perché non si ripropone mai identica, nel corso del tour. L'unica cosa che mi preme davvero segnalare è la forza emozionale che si è sprigionata dalle note di una serata che non ho timore di definire perfetta. Perfetta persino nell'apparente imperfezione dei disguidi tecnici di avvio concerto. Abbiamo avuto un "quasi bis" fuori programma. Non credo ci si possa lamentare.

Una perfezione che è corale, ma il primo merito va a chi ha voluto portare in scena questo viaggio e questo incontro: Gianni Maroccolo, un bassista sopraffino che sa sfoderare un groove a tratti potente e devastante, ma sa anche lasciare muto il suo basso quando la voce deve dire cose troppo importanti per essere sopraffatta da altri suoni. Il suo basso, "Attilio", come lo ha chiamato lui, fedele compagno di viaggio dal 1983, pare quasi pulsare di vita propria: sa diventare strumento lirico ed espressivo e canta anche lui, sul palco, impreziosito da vibrati e da delay che tolgono il fiato.
In alcuni passaggi è proprio il basso, da solo, a contrappuntare la voce con un riff che non si può non definire delicato, elegante ed espressivo. E le dita che gli danno vita sono quelle di Maroccolo. Una garanzia.

Ma non c'è soltanto lui, dicevamo. C'è Andrea Chimenti, che sfodera un'ottima prestazione vocale e accompagna alcuni pezzi alla chitarra. C'è Antonio Aiazzi, di cui già si segnalava la sublime esecuzione in "Lucky Man", ma che ha dato molto in tutto il concerto, sia alle tastiere che alla fisarmonica (e proprio la fisarmonica è lo strumento clou in Maria Walewska). C'è tanta elettronica, con un sintetizzatore modular, molti effetti e molto delay (nell'apprezzare gli aspetti tecnici di tutto questo ringrazio in particolare l'amico Valter Poles, che era tra il pubblico e che mi ha fornito delle interpretazioni di quanto stava avvenendo sul palco che sfuggivano alle mie competenze). Ma accanto all'elettronica, anche l'opposto, quando il suono magico ed orientaleggiante di un sitar (tra le mani di Beppe Brotto) risveglia nuovi sensi, fino a diventare "altro", mentre l'uso dell'archetto gli conferisce sonorità quasi da theremin, fino a trasformarsi nel verso dei gabbiani di quel mare che Gianni tanto ama e a cui tanto deve nella sua ispirazione e formazione.  Non manca neppure la batteria di Simone Filippi, che, specie ne "La Battaglia", fa tremare cuori e pareti.


Non credo ci sia altro da aggiungere, se non ribadire che è stato tutto semplicemente meraviglioso. Consiglio a tutti di prendere posto ai prossimi concerti o, meglio, ai "prossimi viaggi", perché c'è tanta di quella carne al fuoco che non saprei neanche come raccontarvela, a parole. Ci ho provato, ecco tutto. 

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